







Fino a circa sessant’anni fa sul lato Nord di Piazza Croci, esattamente dove ora si trova l’autolavaggio, sorgeva la villa che Nicolò Lanza Principe di Deliella si fece costruire da Ernesto Basile a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Oggi a perenne ricordo di questa graziosa abitazione rimangono le foto d’epoca, i disegni e i progetti del famoso architetto, i sospiri e le critiche dei palermitani, l’antica recinzione e un casotto situato in congiunzione tra il lato Nord con quello Ovest.
La villa la ricordano in molti tra i palermitani. E il modo in cui scomparve anche. Era il 1959 e Palermo si trovava nelle mani del Sindaco Vito Ciancimino e di Salvo Lima allora Assessore ai Lavori Pubblici. Nelle loro mani si compì quello che tutti chiamano il sacco di Palermo, ovvero una serie di azioni effettuate tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del secolo scorso che portarono al cambiamento (per non dire stravolgimento) dell’assetto edilizio della città. In sostanza, vennero approvate alcune modifiche del piano regolatore cittadino che resero edificabile via Libertà. Per sfruttare al meglio questa fetta di suolo e guadagnarci il più possibile, vennero abbattute alcune antiche e pregevoli costruzioni per costruirne di moderne. Molte di queste erano una testimonianza della Palermo felicissima, abitazioni eleganti e raffinate molto simili a quelle costruite dalla fine dell’Ottocento in poi a Parigi e a Bruxelles. Questo capitolo della storia cittadina venne scritto grazie all’intesa tra la politica locale e la mafia, approfittando del fatto che le suddette case non erano sottoposte a nessun vincolo. Non erano cioè ancora diventate Beni Culturali, o meglio monumenti, perché non erano trascorsi cinquant’anni dalla loro edificazione, dopo i quali tutto ciò non si sarebbe potuto fare. La Villa Deliella rientrò nel novero di questi edifici. Non sappiamo ancora che ruolo abbia avuto il padrone di casa in questa faccenda. Fatto sta che nel giro di una notte, quella tra il 28 e il 29 novembre del 1959, la villa scomparve lasciando sguarnito un lato della piazza. Tutto venne fatto letteralmente in fretta e furia, in modo che niente e nessuno potesse bloccare quello che stava accadendo. Dopo il diroccamento dell’edificio, in un primo momento si pensò di riutilizzare la zona come verde pubblico, tale era stato lo scandalo suscitato dal misfatto. Poi, per molto tempo non se ne fece più niente e rimase un immenso vuoto. Da qualche decennio a questa parte, vi si trova quello che sappiamo.
Affidandoci alle foto d’inizio secolo e lavorando un po’ di fantasia, potremmo immaginare un grande spazio delimitato da un muretto basso e da una graziosa recinsione in ferro (ambedue ancora oggi visibili), uno spazio verde animato da qualche svettante palma e, al centro, un edificio rettangolare sopra cui spiccano due torri. Una di esse, la più snella, sovrasta il corpo di fabbrica e ricorda quella del Villino Favaloro, sebbene quest’ultima sia più recente. Tutto l’insieme, però, somiglia molto al Villino Florio di Viale Regina Margherita (1899-1902), ma in versione più contenuta. L’abitazione venne commissionata ad Ernesto Basile da Anna Drogo di Pietrapezia e da Nicolò Lanza Principe di Deliella sul finire del XIX secolo. L’architetto palermitano disegnò due progetti per la principesca dimora: il primo, risalente 1896, per un palazzo che aveva elementi in comune con gli edifici da lui stesso progettati tra il 1893 e il 1899; il secondo, del 1902, per una villa, venne ulteriormente modificato nel 1905. La commistione tra le tre idee progettuali rappresenta il risultato finale. Complessivamente l’edificio si presentava come una serie di piccoli nuclei indipendenti, incastonati gli uni agli altri. Lo stesso principio si può trovare a Villa Igiea (1899-1900) e al Villino Florio. Anzi i tre progetti, coevi tra loro, sembrano intimamente collegati gli uni agli altri. Quello che si poteva ammirare era una moderna e sobria residenza nobile, maestosa nel massiccio corpo orizzontale e vivacizzata da due torri. Le pareti erano bianche, lisce e animate da due ordini di grandi vetrate; un balcone angolare girava intorno ai lati Sud ed Est; i tetti erano spioventi. Gli angoli del corpo erano evidenziati da lastre di bungato di diversa lunghezza. Come nel caso del Grand Hotel, Basile progettò anche il giardino e gli arredi. Nel primo caso, rifacendosi al vicino Giardino Inglese, pensò una serie di sinuosi vialetti che visti dall’alto formano un motivo tipico dell’art nouveau. Per gli arredi interni, i mobili e le decorazioni furono desegnate da lui e realizzate dalle Officine Ducrot.
L’interno era comodo e lussuoso, organizzato e arredato più o meno come il già citato Villino Florio. Vi si accedeva da un portico centrale con finestra ad arco (bovindo). Subito dopo si trovava l’ingresso, affiancato da due ambienti laterali adibiti a lavabo e guardaroba, e, infine, la grande hall a doppia altezza. Qui si trovava uno scalone sul cui ballatoio si aprivano gli ambienti interni. Tra questi si ricorda la sala da pranzo il cui stile risente molto di quello del grande architetto belga Henry Van de Velde (Anversa, 3 aprile 1863 – Oberägeri, 15 ottobre 1957).
Come si è detto, in realtà, Villa Deliella è uno dei gioielli palermitani di fin de siecle di cui purtroppo non si hanno più tracce. Se li potessimo avere ancora sotto gli occhi potremmo dire che Palermo sarebbe una città elegante e raffinata come Parigi o Bruxelles che conservano ancora alcune ricchezze architettoniche di questo tipo.
Ma la finalità di questo articolo non è piangerci addosso per l’ennesima volta, ma di portare un messaggio di speranza. Perché per fortuna, negli anni la sensibilità dei palermitani è cambiata, la tecnologia a nostra disposizione pure, e qualcuno adesso vorrebbe restituire a Palermo un tassello mancante del suo patrimonio monumentale. Sabato 28 novembre, infatti, in occasione della ricorrenza dell’inizio dei lavori di demolizione di Villa Deliella, a Palazzo Forcella De seta verrà presentato un progetto di ricostruzione del compianto edificio. Gli architetti Danilo Maniscalco e Giulia Argiroffi chiederanno alle istituzioni di usare fondi comunitari o privati per finanziare questa meritoria impresa. Sarà un’operazione di grande portata economica (e non solo), che sarà un’ opera senz’altro benefica per la città.
La ricostruzione, ovviamente, seguirà meticolosamente il progetto di Basile contenuto nei disegni conservati dai suoi eredi. Qualcuno ha già ipotizzato di allestirvi un museo del Liberty.
Fermo restando che questa ricostruzione, seppur rigorosa e filologicamente corretta, non ridarà a Palermo la Villa ma una sua copia fedele, creando cioè un falso storico (una cosa è restaurare un rudere riportandolo al suo antico splendore e regalarci l’idea di quello che doveva essere, un’altra è rifare di sana pianta qualcosa che non c’è più, com’era e dov’era!), in ogni modo sarà un’operazione meritoria per Palermo, segno della nuova sensibilità cittadina. Già in passato, infatti, ci sono stati casi di ricostruzioni di monumenti, come, giusto per citarne alcuni, quella del campanile di San Marco a Venezia (1903-1012) e del Teatro La Fenice (1996-2003), distrutti rispettivamente da un crollo dovuto al cedimento del terreno in seguito a degli interventi fatti alla Basilica (1902), e da un incendio (1996).
Ma voi… Cosa ne pensate?