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Semplicemente Giovanni. Vita, passioni e professione di un cittadino palermitano.

Giovanni Salvatore Augusto Falcone è stato un ragazzo palermitano, che amava profondamente la sua città in quasi tutte le sue sfumature.

Nato a Palermo, il 18 Maggio 1939 terzogenito di una famiglia benestante e da sempre dedita alla città, crebbe nel quartiere Kalsa, frequentando anche gli oratori e l’azione cattolica delle chiese di Santa Teresa e San Francesco. Crebbe con la passione per il calcio, il ping pong e le attività conviviali, ove conobbe, all’età di tredici anni, durante un torneo organizzato dall’allora sacerdote del posto Padre Giacinto, l’amico ed il collega di sempre Paolo Borsellino.

Ebbe una solida ed eccelsa istruzione presso le scuole primarie del Convitto Nazionale di Palermo e la Scuola Media Giovanni Verga, successivamente scelse di proseguire gli studi ottenendo nel 1957, prima la maturità classica con il massimo dei voti, presso il Liceo Ginnasio Umberto I di Palermo, poi dopo una breve parentesi militare durata quattro mesi presso l’Accademia Navale di Livorno e con l’intenzione di diventare un ingegnere, tornò nella sua amata Palermo, ove infine scelse di seguire le orme della sorella maggiore Maria, presso l’allora Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo.

Laureatosi con 110 su 110 e Lode nel 1961 insieme all’amico Paolo, dopo soli quattro anni, vinse il concorso in magistratura e nello stesso anno sposò la prima moglie Rita Bonnici, a soli 25 anni.

Per dodici anni, lavorò presso la corte del Tribunale di Trapani, ove svolse mansioni di Sostituto Procuratore prima e poi da Giudice Istruttore e in quel perioso, si espanse in lui la passione per il diritto penale. Sempre in quegli anni, mutò in lui l’ideologia politica che da sempre aveva accompagnato le sue radici familiari legate alla Democrazia Cristiana, abbracciando così, la passione e l’entusiasmo che Enrico Berlinguer trasmetteva attraverso i suoi comizi e le sue azioni politiche. Motivò questa scelta, dicendo che da profondo amante della giustizia, quella nuova strada, avrebbe potuto appianare le disparità sociali del tempo.

Dopo l’assassinio del Giudice Terranova avvenuto nel 1979, Giovanni Falcone accettò le avance professionali del Giudice Rocco Chinnici, passando così dalla sezione fallimentare del Tribunale di Palermo, all’Ufficio Istruzione della sezione Penale, sotto la guida dello stesso magistrato Chinnici prima e di Caponnetto poi, diventando un’avanguardista dell’organizzazione giudiziaria e lavorando poi a numerose inchieste all’interno del pool antimafia costituito nel 1984 con lo scopo di coordinare, condividere informazioni e far fruttare l’esperienza unica e d’insieme avversa all’associazione a delinquere di stampo mafioso.

Il giudice Falcone potè lavorare a svariate inchieste con l’amico Paolo e si interessò sempre più ai movimenti di affari della criminalità organizzata siciliana. Da queste indagini Giovanni, intuì che per piegare i traffici delle cosche, avrebbe dovuto seguire prima i movimenti patrimoniali ed i percorsi che il denaro dei boss faceva.

Da questa esperienza, potè notare che uno dei traffici più voluminosi dei proventi, provenivano dagli Stati Uniti d’America, con la compravendita della droga che partiva appunto dal capoluogo siciliano e ricostruì i rapporti tra le famiglie siciliane e quelle statunitensi, la sua prima vera e propria svolta investigativa sui traffici malavitosi internazionali.

Verso la fine del 1980 e per svariati anni a seguire, Giovanni Falcone potè lavorare a New York, stringendo una collaborazione istituzionale con l’allora Procuratore Federale Rudolph Giuliani, figura non molto simpatica al giudice per via della sua dubbia integrità morale e con altre istituzioni americane come la DEA e l’FBI. Da queste collaborazioni e con l’inchiesta chiamata “pizza connection” poterono sgominare il traffico di eroina italo-americana all’interno delle stesse pizzerie americane.

Con l’arresto dell’uomo d’onore pentito Tommaso Buscetta, nel luglio del 1984 il nucleo operativo della Criminalpol interrogandolo, potè scrivere la storia recente ed i funzionamenti strutturali di cosa nostra, trascrizioni utili al futuro lavoro del giudice.

Con l’assassinio dei collaboratori del pool Beppe Montana capo della sezione “catturandi” e Ninni Cassarà Questore aggiunto della Questura di Palermo, il giudice Caponnetto temendo per l’incolumità dei due giudici suoi stretti collaboratori, ordinò segretamente il trasferimento delle famiglie Falcone e Borsellino presso l’ex struttura giudiziara dell’isola dell’Asinara, ove i due giudici si prepararono alla stesura della cosiddetta “istruttoria” per il conseguente maxiprocesso. Rivelerà in seguito lo stesso Caponnetto, che l’Amministrazione Giudiziaria successivamente alla permanenza “forzata”, ordinò un rimborso spese e un indennizzo ai due giudici.

Nel febbraio del 1986 iniziò così il maxi-processo, passato alla storia come la più grande e massiccia inquisizione ai danni di tutti gli esponenti dell’organizzazione criminale chiamata cosa nostra: la sentenza inflisse 360 condanne, 2665 anni complessivi di carcere e undici miliardi e mezzo di multe da pagare, scrivendo così il più grande successo del lavoro svolto negli anni dal pool antimafia.

Dal 1986 però, le strade professionali dei due giudici-amici si dividono. Paolo verrà nominato Procuratore della Repubblica a Marsala, mentre il nostro Giovanni si apprestava legittimamente a succedere al giudice Caponnetto alla guida del Pool, ma nel gennaio del 1988 dopo una discutibile votazione, il CSM nominò il giudice Antonino Meli al suo posto, descrivendo così una rottura sul metodo investigativo fino ad allora comprovato ed efficace.

Sempre nel gennaio del 1988, smantellato di fatto il lavoro intrapreso dal pool, cosa nostra continuò ed implementò la sua barbarica opera stragista, forte di non esser più perseguitata come prima, anzi, talvolta favorita anche dall’allora politica territoriale e nazionale. Difatti il giudice Meli a luglio sciolse definitivamente il pool antimafia, vanificandone gli sforzi ed il lavoro metodico fatto fino ad allora, e dopo solo un mese, il giudice Falcone incassò l’ennesima sconfitta “politica” perdendo la corsa alla guida dell’Alto commissariato per la lotta alla mafia. Nonostante questi duri colpi, Falcone continuò il suo lavoro.

Fallito l’attentato ai suoi danni presso la sua residenza in affitto all’Addaura, in cui il giudice sarebbe dovuto saltare in aria con cinquantotto candelotti di tritolo. Falcone stesso ritenne che qualcuno voleva bloccare l’indagine che stava svolgendo sul riciclaggio di denaro, parlando chiaramente di “menti raffinatissime“, ovvero altri soggetti interessati alla sua dipartita e inquadrandoli come “soggetti occulti“. E dopo solo una settimana, il CSM decise la nomina di Falcone a Procuratore aggiunto della Repubblica e nel ’90 sgominò una fitta rete di trafficanti di droga italo-colombiani coordinandone le indagini.

Nel periodo tra l’88 ed il ’91, gli sforzi professionali del giudice Falcone si concentrarono nel lavoro investigativo dei c.d. “delitti politici” siciliani. Quegli assassini eccellenti (Mattarella, Reina, La Torre), sottoscrivendone la requisitoria con cui infine, nel marzo del 1991 la Procura di Palermo chiese il rinvio a giudizio per quegli stessi delitti ai danni dei vertici di cosa nostra.

Negli stessi anni, grazie all’aiuto del capitano dell’arma dei carabinieri del posto, Jannone, svolse delle indagini a Corleone, per la ricerca dell’allora latitante Salvatore Riina, considerato capo della cosca Corleonese ed uno dei vertici di cosa nostra. Indagini che condussero al commercialista Mandalari, ritenuto colluso non solo con l’organizzazione mafiosa guidata dal Riina, ma anche ad ambienti massonici e politici.

Nel ’90 optò per l’offerta dell’allora ministro Martelli, di dirigere la sezione affari penali presso il ministero di Grazia e Giustizia; ormai, viste le incalzanti polemiche, anche politiche, attorno alla sua figura di magistrato e profondamente isolato anche all’interno dello stesso CSM che si oppose alla sua nomina con la candidatura di Cordova a “Superprocuratore”, ruolo per altro fondamentale per la lotta a pieni poteri contro la mafia. Falcone difatti era rimasto solo.

A tal proposito, in un’intervista concessa a Marcelle Padovani per Cose di Cosa Nostra, Falcone affermò: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. in Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

Cosi, come tristemente passato alle cronache, il 23 maggio 1992 presso Capaci, alle ore 17:58, Giovanni Brusca su mandato del boss Riina, azionando un telecomando, fece brillare 13 bidoncini da 1000 Kg di Tritolo, posti sotto l’autostrada all’interno di alcuni cunicoli di drenaggio, che investono le tre Fiat Croma blindate, con una potenza di fuoco senza precedenti, producendo un’onda d’urto, una voragine ed un boato mai visti prima di allora in Italia.

In quel momento morirono i tre agenti di scorta della prima auto, sbalzata per oltre dieci metri: Antonino Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, resi irriconoscibili ed avvolti completamente dalle lamiere roventi;

la seconda auto guidata dal giudice Giovanni Falcone con accanto la moglie Francesca Morvillo e dietro l’uomo della scorta Giuseppe Costanza salvatosi, invece poiché aveva rallentato prima del triste evento, venne sbalzata dall’urto e finì contro un muro di cemento poco distante;

la terza auto contenente altri tre agenti venne risparmiata miracolosamente, con altre venti persone che stavano transitando in autostrada proprio in quel momento.

La Sicilia e l’Italia intera restarono sgomenti e senza fiato, finché alle ore 19:05 i telegiornali, che nel frattempo seguivano la triste vicenda, diederò la triste notizia che nessuno avrebbe voluto sentire: il giudice Giovanni Falcone era deceduto durante il disperato tentativo di rianimazione dagli svariati traumi riportati. Più tardi intorno alle ore 22:00 anche la moglie Francesca Morvillo perse la vita.

Quella sera con loro vennero meno molte speranze di cittadini giusti e speranzosi, financo la tenacia dell’amico di sempre, Paolo che capì anch’esso di esser rimasto tristemente solo.

Dal 2014 la salma dell’eroe palermitano è stata traslata presso la Chiesa di San Domenico a Palermo.

 

Nel ricordo dei giudici giusti, amanti della città di Palermo e della sua più nitida bellezza, lo Stato Italiano e la cittadinanza tutta ricordano con affetto, stima e commozione le loro gesta ogni 23 maggio a Palermo, con cortei che partono dal porto, transitano dall’aula bunker del carcere Ucciardone, proseguono per via Notarbartolo, arrivano in via D’Amelio e terminano la marcia presso il Giardino della memoria di Capaci, posto sotto le stele commemorative del giudice Giovanni, di sua moglie Francesca e della sua scorta. Quest’anno purtroppo non sarà possibile commemorare la vita e gli sforzi degli eroi che gloriosamente hanno voluto liberare a tutti i costi la nostra terra da uno dei mali più meschini che potesse affliggerla. La nostra redazione, ha deciso di commemorare, la vita del GRANDE GIOVANNI FALCONE, proprio oggi che ricorre il suo compleanno, con questo articolo, che speriamo possa riportare alla memoria gli immani sforzi compiuti in nome della giustizia e per amore della nostra terra!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mag 18, 2020Piè Lo Iacono
Storia di un amore Rosa-NeroIl Mito di Colapesce
Piè Lo Iacono

Speaker radiofonico, appassionato di musica, calcio e politica.
Amo le tecniche psicologiche, la Juventus, l’ironia e la comunicazione digitale.
Mi diletto associazionisticamente parlando.
Laureando in Scienze dell’Amministrazione, dell’Organizzazione e Consulenza del Lavoro

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