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Una tradizione medioevale: la Frutta Martorana

Da cosa nasce e come è fatta la frutta martorana? 

Composta da semplici ingredienti (farina di mandorle, zucchero e acqua); è il dolce che più rappresenta la “festa dei morti”.  Nata nel medioevo ed entrata nella tradizione gastronomica siciliana nel ‘500, essa ha però radici ancora più antiche e in comune con il marzapane (farina di mandorle, zucchero, albume). Ma facciamo un passo alla volta.

Ci sono vari racconti e fonti sulla nascita del dolce, a volte anche ambigui e soggetti a interpretazioni errate. La versione più accreditata inizia dalla sua ideatrice, la nobildonna Eloisa Martorana, vissuta tra il XII e XIII secolo, e fondatrice di un monastero benedettino adiacente alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo, detta anche la Martorana. Tale chiesa godeva già di un’ottima fama per i suoi frutteti, giardini e orti, tantoché il vescovo di Palermo (forse Gualtiero Offamilio o Bartolomeo) incuriosito volle vederla agli inizi di Novembre, ma, come ben si sa molti frutti come le arance raggiungono la piena maturazione solo nel periodo invernale: così per evitare una brutta figura la nobildonna fece addobbare gli alberi con frutti fatti con pasta di mandorla e dipinti con colori vivaci.

Oltre a questa versione ve ne è anche un’altra ma ambientata nel ‘500, le dinamiche sono quasi identiche alla versione precedente. Nell’estate del 1535, l’imperatore Carlo V d’Asburgo, in vista del suo viaggio in Sicilia, si volle soffermare per circa un mese a Palermo e nell’occasione visitare il famoso giardino e i frutteti della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio. Colti alla sprovvista, proprio perché gli alberi erano privi di frutti, le suore li ricrearono con pasta di mandorle, li dipinsero e li posero sugli alberi. Soltanto nel 1575 la produzione passò nelle mani della corporazione dei Confettari, che ne ebbero il monopolio.

Ma la frutta martorana non è altro che la punta dell’iceberg, ciò che sta sotto è un intreccio di percorsi storico-antropologici guarniti da tradizioni popolari e antichi culti religiosi legati alla vita e alla morte, racchiusi in un alimento come la pasta di mandorle e il suo “cugino” marzapane. Entrambi ebbero origini etrusco-romano con influenza celtica, in quanto occupavano parti dell’Italia settentrionale, e successivamente, nonché decisiva fu l’influenza araba: infatti il termine deriva da maw-thaban, un’unita di misura rappresentata da un contenitore utilizzato per vari scopi tra cui trasportare il cibo, così in poco tempo il nome passò dall’involucro al dolce a forma di pani. Ma tralasciando per un attimo la sua storia, ciò che colpisce in apparenza in maniera minima ma sostanziale sono due ingredienti, cioè l’acqua per la pasta di mandorle mentre l’uovo (o albume) per il marzapane.

I due ingredienti oltre ad avere una simbologia fondamentale per molte culture, soprattutto quelle arcaiche o di tipo rurali e seminomade, rappresentano nel nostro caso sia due culture ma soprattutto due modi di rappresentare la vita e il mondo attraverso l’uovo e l’acqua.

Entrambe le simbologie sono di origini pagane e cristianizzate successivamente: l’uovo ad esempio è stato rappresentano come simbolo di fertilità, vita eterna, resurrezione ed è stato alla base anche di culti religiosi legati alla madre terra, al cosmo e a leggende come l’uovo filosofale e il mito di Leda nell’antica Grecia; mentre l’acqua rappresenta anch’essa la vita, adattamento, nascita, morte, presente e futuro, e mezzi utilizzati soprattutto nel passato per entrare in contatto con la Terra infatti greci e latini svolgevano rituali presso pozzi e sorgenti in modo tale di comunicare con gli dei o le ninfe. Ma con l’avvento del cristianesimo e la sua diffusione in maniera capillare, seppe mantenere sì la stessa simbologia ma indirizzata verso il proprio culto infatti la Madonna viene rappresentata a volte con un uovo in mano o più evidente è l’uovo nel periodo pasquale; mentre l’acqua, invece, rappresentò la purificazione (diluvio universale o battesimo), fecondità, rinnovamento, guarigione (Naman che si lava nel Giordano), ecc.

Ma ahimè l’argomento è troppo vasto; comunque detto ciò e dopo avervi suscitato un po’ d’interesse, almeno spero, su due “ingredienti” di uso quotidiano e soprattutto avervi dato due versioni sulla storia della Martorana e sulla differenza tra pasta di mandorle e marzapane (le due facce di una medaglia); mi viene spontaneo, in quanto storico e palermitano, porvi una semplice domanda: voi che versione della storia della Martorana conoscete?

 

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Pierpaolo Cimino

Ha conseguito la laurea Magistrale in Studi Storici e Geografici presso l'Universit

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