
Rosalia Sinibaldi secondo la tradizione fu una nobile palermitana. Difatti, si dice che la sua famiglia discendesse direttamente dalla stirpe Merovingia, il cui capostipite era Carlo Magno.
Rosalia visse tra Palermo e le terre del padre, duca di Quisquina e del Monte delle Rose, di cui fu vassallo del re tra il 1128 e il 1165 (date tramandate storicamente), e si dice che trovò la pace eterna in una grotta di Monte Pellegrino.
Frequentò la corte di re Ruggero il quale, per ricambiare un favore, la concesse in sposa al conte Baldovino. La giovane, però, era contraria e, dopo essersi tagliata i capelli, decise di abbracciare la vita monastica, destinando la sua esistenza a Dio.
Cercando di far rinsavire la ragazza, sia la famiglia che il conte Baldovino si recavano spesso in visita al monastero delle suore basiliane, in cui la vergine si era di ritirata. Allora Rosalia fece un’ulteriore passo verso il Signore, decidendo di condurre una vita eremitica presso i possedimenti del padre collocati tra Bivona e Santo Stefano di Quisquilia. Purtroppo, però, la sua fama si diffuse e in molti cominciarono a seguirla. Così, la giovane eremita decise di tornare nella sua Palermo per ritrovare quella pace e quel silenzio ad ella così cari, abitando una grotta del Promontorio palermitano. Ciò fu possibile grazie all’intervento della regina Margherita di Navarra, moglie di Enrico VI, di cui Rosalia fu damigella di corte. In questi luoghi l’eremita visse fino alla fine dei suoi giorni e il suo corpo vi trovò sepoltura.
Secondo la tradizione, Rosalia Sinibaldi apparve in sogno ad un giovane, rimasto vedovo a causa della pestilenza che mise in ginocchio Palermo nel 1624, e ormai prossimo ad un gesto estremo dettato dalla disperazione. Così, Rosalia gli rivelò l’esatta ubicazione dei suoi resti mortali rimasti, appunto, all’interno della grotta situata vicino alla storica e già allora esistente “Chiesa di S. Rosolea”, esortando il giovane ad informare il Cardinale Giannettino Doria, il quale era già in possesso di alcuni resti trovati proprio lì sul monte all’interno di un’urna naturale d’ambra, ma ai tempi non vi era certezza dell’autenticità dei resti. La Sinibaldi chiese al giovane vedovo di intercedere per lei presso il Cardinale e di far passare una processione per le vie cittadine, assicurando che, al passaggio dei propri resti mortali, la peste sarebbe stata debellata per intercessione della Santa Vergine Madre di Dio.
Le parole che il giovane proferì all’alto prelato si avverarono, poiché la Santuzza gli rivelò che non appena avrebbe informato il Cardinale, egli stesso si sarebbe ammalato e da lì a poco sarebbe morto di peste. E proprio per questo, il Cardinale Doria credette a quanto gli era stato detto e ed eseguì il volere della Santuzza.
L’antichità del culto di Santa Rosalia è attestato da una tavola lignea custodita presso il Museo Diocesano di Palermo risalente al 1196 e dalla realizzazione dell’altare a lei dedicato nella vecchia cattedrale nel XIII secolo. Tuttavia, i fatti sopra citati portarono il Cardinale Doria a portare il miracolo all’attenzione di Papa Urbano VIII, che verificato quanto accaduto, innalzò la vergine alla gloria degli altari e la proclamò unica patrona di Palermo, surclassando così coloro che prima di lei avevano protetto la città, ovvero le sante Ninfa, Agata, Cristina e Oliva.
C’è anche da dire che in tutta la Sicilia si hanno altri ricordi storici simili alla “rivelazione” palermitana della Santuzza. Sin dal 1300, infatti, da Bivona ad Alia, da Mazzara del Vallo a Santa Croce Camerina, pare che furono abbastanza ricorrenti le sue apparizioni e le conseguenti liberazioni dalla peste. Ma sembra che siano avvenute solo dopo l’ edificazione di chiese e cappelle in suo onore. Ancora oggi, a Palermo, la devozione per la Santuzza è particolarmente viva. Infatti ogni anno, dall’11 al 15 luglio si celebra il ricordo del miracolo della liberazione dalla peste da lei operato; mentre il 4 settembre si celebra la presunta data della sua morte e ogni anno i fedeli la onorano impiegando circa un’ora per percorrere la cosiddetta “acchianata”, ovvero un percorso a piedi che porta dalle pendici di Monte Pellegrino sino alla grotta dove essa morì e dove si trova un santuario a lei dedicato.
Inoltre, nel 1625 fu istituito il cosiddetto “festino”, ovvero la suntuosa processione dei resti mortali della Santuzza. Dapprima, questa si protraeva dal Palazzo Arcivescovile fino alla cattedrale; ma, in seguito, con il passare degli anni, con l’aumento demografico e, di conseguenza, con l’aumento delle abitazioni, la processione iniziò a percorre quasi interamente il centro storico palermitano.
Nel 1686, poi, si cominciò a costruire un carro trionfale con lo scopo di esaltare, volendo usando una metafora, la grandezza della Santuzza. I vari carri costruiti nel corso dei secoli hanno sempre rispecchiato i costumi dei palermitani. E talvolta, hanno raggiunto dimensioni notevoli, pari addirittura a circa 35 o 40 metri d’altezza. In più, è doveroso ricordare che per disegnare questi carri trionfali, siano state chiamate importanti personalità locali, tra i quali Paolo Amato e Giacomo Serpotta, a cui si deve l’idea dell’allocazione in cima al carro di una statua in ceramica della giovane Santa Rosalia.
Ma in pochi sanno che anticamente a Palermo non si festeggiava un solo festino. Infatti, si dice che l’11 gennaio 1693, un violento terremoto distrusse oltre 60 comuni, e che,per intercessione della Santuzza, la nostra città venne risparmiata. Questa notizia è confermata da alcuni testi del Canonico Antonino Mongitore. Proprio per questo, il Viceré duca di Ossuna, dopo essersi recato a piedi a Monte Pellegrino e dopo aver partecipato la stessa sera ad una solenne celebrazione ed al vespro in onore della Santuzza per rendere grazie del miracolo, fece sì che il senato palermitano istituisse la “festa del patrocinio” in memoria di quel secondo prodigio. Tuttavia, secondo quanto si evince dagli antichi documenti custoditi dagli archivi storici palermitani, questo “secondo festino” fu celebrato fino al 1866.
In pochissimi, quindi, sanno che il 5 marzo, in ricordo di un altro terremoto del 1823, si festeggiava anche un “terzo festino”.
Infatti, queste grandi celebrazioni si sono ridotte a quelle che ancora oggi conosciamo e festeggiamo.