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Sant’Agata, tradizione che unisce Catania e Palermo

Ogni volta che passo per Corso Tukory, provo sempre un’emozione particolare. Un’antica costruzione attira il mio sguardo, e lì in quel varco il mio pensiero si precipita, andando con la Sant'Agatafantasia a oltre un millennio fa. 18 secoli or sono, una giovane passa da questa strada sulla quale, mille anni dopo, i Normanni edificheranno la celebre Porta Sant’Agata. Stiamo parlando di una dei santi patroni di Palermo: Rosalia, Benedetto il Moro, Cristina di Bolsena, Ninfa, Oliva e, appunto, Agata. Nonostante la stupida e insulsa diatriba che vede contrapposte Palermo e Catania, personalmente sono devoto sia di Rosalia che di Agata, che è compatrona di Palermo e la Patrona di Catania.

Quando sento qualcuno che prova un senso di possesso verso il proprio patrono, geloso e stizzito che qualcun altro di un’altra città possa venerarlo, o quando sento che si disprezzano dei santi solo per esaltare i propri come se tutto fosse un’unica grande partita di calcio, provo un certo disgusto, e mi rendo conto che alcuni, invece della fede, hanno solo superstizione.

Ma Agata dimostra che c’è un legame di affetto antico tra Palermo e Catania, e qui ne parlerò.

Pur essendo una delle sante più amate e venerate di tutta la storia del cristianesimo, le fonti su di lei sono incerte, con pochi dati contrastanti a disposizione. La data di nascita è abbastanza attestata per l’8 settembre, in una data tra il 229 e il 235. Il luogo è dubbio: alcune fonti dicono Palermo, altre San Giovanni Galermo in provincia di Catania, altre ancora Catania stessa. Quale sia stata la città natale della giovinetta, è attestato che comunque sarebbe vissuta a Catania, lì abbia messo le proprie radici, da lì sia fuggita e lì poi sia andata a morire.

Secondo la tradizione che io ho scelto di riportare come la più attendibile, la piccola Agata era fuggita da Catania per scampare alle persecuzioni, e trovò rifugio e ospitalità a Palermo, prendendo alloggio al Capo (dove invece, secondo altre fonti, sarebbe proprio nata). Quando accade ciò, siamo tra la fine del 250 e l’inizio del 251.

Agata ha circa vent’anni, Papa Fabiano è morto in carcere da mesi, e la Chiesa Cattolica non è riuscita a eleggere il suo successore. Papa Cornelio sarà eletto solo l’anno dopo e, in questo clima di sede vacante, grandi sono il terrore e la confusione per i cristiani. Immaginate se nel 2016 Papa Francesco venisse incarcerato da un’autorità statale e in prigione morisse di stenti, e nessun cardinale riuscisse a eleggerne un altro. L’imperatore Decio ha deciso che, per rafforzare la sicurezza dell’Impero, è necessario ripristinare il prestigio dell’antica religione romana, e quindi perseguitare tutti coloro che non riconoscono gli imperatori come divinità. Tra questi ovviamente ci sono i cristiani.

In tale clima di sbandamento, senza pastori, i cristiani si ritrovano indotti ad abiurare la fede o a scegliere il martirio, sotto atroci torture. Oppure, terza opzione, scappare. Questa è l’opzione scelta da Agata e la sua ricca famiglia di nobili cristiani, quando il proconsole Quinziano, con l’incarico di inquisire la fede dei sudditi di Sicilia, mette gli occhi su due bei bottini: arraffare le ricchezze della famiglia di Agata, e sposare la bellissima fanciulla. Ma Agata, oltre che proprietaria di poderi, è diaconessa, istruisce i giovani alla fede, si è consacrata a Cristo lei stessa in voto di perpetua verginità. Appartiene a Cristo, è Sua e di nessun altro. Per questo la fanciulla e i suoi fuggono a Palermo, al Capo (trovando rifugio lì o tornando dove lei era nata, c’è incertezza su questo). Ma la persecuzione di Quinziano la raggiunge lo stesso, la scova e la riconduce a casa. Ad Agata, forse sembra la chiamata di Dio a salire sul Calvario.

Chiesa di Sant'Agata la pedata

Chiesa di Sant’Agata la pedata

Lì, su quella via per tornare a Catania, la ragazza si china per riallacciarsi il sandalo, e su quella roccia – si dice – rimane la sua impronta. L’orma della santa a Palermo, tuttora custodita come reliquia nella Chiesa di Sant’Agata la Pedata,

Frammento di roccia su cui rimase l'orma di Agata

Frammento di roccia su cui rimase l’orma di Agata

chiesetta nella quale vi è pure una reliquia di San Giovanni Paolo II voluta dal parroco polacco. E, se vi siete mai domandati cosa significasse “pedata” (io l’ho fatto), intende proprio questo: l’orma del piccolo piede di Agata che rimane miracolosamente impressa sulla roccia. La roccia simboleggia Cristo: per i cattolici, il Papato è la pietra che si appoggia sulla roccia di Cristo. Pietra su roccia. È una simbologia ricca di significato: volendone fare una sorta di esegesi folkloristica, è come se si dicesse che, nel momento di maggior crisi del Papato, Agata si sia sacrificata per esso. Sono significati simbolici non facili da ricostruire per gli storici e gli studiosi.

Al di là di queste testimonianze antiche che possono essere credute come no, ritenute storia oppure leggenda, è un altro il punto su cui, passando vicino quella Porta edificata 10 secoli dopo il suo martirio, mi soffermo sempre. Cosa avrà provato una ragazza così giovane sapendo di andare a morire?

Lo sapeva che la città dov’era vissuta sarebbe divenuta la sua tomba?

Essere spogliata, mostrata nuda al pubblico ludibrio, torturata, mutilata. Sapeva che sarebbe andata incontro a tutto questo, lungo la via che 1000 anni dopo avrebbe visto una porta normanna a celebrarla?

Sapeva che 1800 anni dopo saremmo stati qui a pensare a lei?

E c’è una domanda che non posso non pormi, un quesito che forse non troverà mai soluzione, spero non la trovi: come reagirei io in una situazione del genere? Riuscirei ad avere lo stesso coraggio?

Reliquia Giovanni Paolo II a Sant'Agata

Reliquia Giovanni Paolo II a Sant’Agata

La tradizione ci dice che, dopo aver rifiutato le lusinghe di Quinziano che l’avrebbe fatta vivere tra il lusso più sfrenato e i piaceri della carne, Agata abbia dovuto subire un processo al Palazzo Pretorio.

La tradizione ci conserva dialoghi memorabili tra la giovane e il suo persecutore, da cui si comprende come la ragazza, di nobile estrazione, fosse stata ben istruita in dialettica e retorica.

Ma un processo iniquo non riconosce verità né giustizia. Quinziano perde ogni speranza di conquistarla, e quindi scatena la sua furia. Agata sa che deve andare incontro all’abisso.

Viene sottoposta alle fustigazioni e al violento strappo delle mammelle con delle tenaglie. Dovete sapere, cari lettori, che gli antichi Romani erano abili torturatori. Aguzzini esperti di torture e sadismo, ingegnosi esperti del dolore come pochi altri popoli della storia. Agata non abiura, resiste, e la notte stessa è visitata, in carcere, dallo spirito di San Pietro, che la rassicura, la conforta e miracolosamente le risana le ferite, restituendole i seni.

Che sia vero o no questo racconto leggendario, importante è la simbologia: non solo le viene restituita la dignità di persona e di donna con il risanamento della orribile mutilazione, ma la stessa istituzione del Papato riconosce la giovane nella sua funzione. San Pietro, per i cattolici, è il Primo Papa e, non essendoci alcun pontefice in quel momento sul soglio, è come se fosse l’Istituzione Stessa a darle la propria approvazione. “Date ragione della speranza che è in voi, ma con dolcezza e rispetto” dice la Prima Lettera di Pietro: a queste parole ha pensato Agata guardando dritto negli occhi i suoi carnefici?

Per questa tortura e il seguente miracolo da lei ricevuto, Agata sarà eletta patrona di tutte le donne con problemi al seno. Quinziano e le autorità, vedendo lo strabiliante prodigio, non si convertono. Si accaniscono di più. La sottopongono al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente all’ultima violenza, il 5 febbraio 251, ad appena vent’anni, stremata ed esanime, Agata spira nella sua cella. Sembra la fine. Invece è solo l’inizio.

Agata diventa prestissimo la Patrona di Catania e una delle patrone di Palermo, come testimoniano i Quattro Canti realizzati tra 1609 e 1620. Se non ci avete mai fatto caso, essi raffigurano i quattro re spagnoli di Palermo, le quattro stagioni, i quattro Mandamenti, i quattro quartieri e le quattro patrone: Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV; primavera, estate, inverno e autunno; Palazzo Reale, Monte di Pietà, Tribunali e Castellamare; l’Albergheria, il Capo, la Kalsa e la Loggia; Cristina, Ninfa, Agata e Oliva.

E, secondo voci, nel 1624 è Agata stessa, con le altre sante, a indicare che la loro intercessione non basta per scongiurare la peste che affligge l’antica Panormus. Le sante stesse indicano al popolo che, per un disegno divino misterioso e imperscrutabile, per un ordine tanto rigoroso quanto insindacabile, a loro deve aggiungersi Rosalia, morta nel 1165 e oggetto di un culto non ancora ufficiale. E proprio Rosalia appare per indicare ai palermitani dove sono le proprie ossa che diverranno le reliquie risolutrici del flagello. Come vedete, cari lettori, non esiste rivalità alcuna tra alcunché, invece tutto è collegato, tutto è in connessione. Ma questa, amici, è un’altra storia.

Qualunque fosse il suo pensiero imboccando la via per tornare a casa andando incontro al suo inferno e al Paradiso, quale sia stato il suo ultimo pensiero sentendo arrivare l’alba del 5 febbraio 251, Agata è un segno dolce che rimane. È un invito alla fedeltà e al coraggio, che durerà per sempre.

Claudio S. Gnoffo

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Feb 9, 2016Claudio S. Gnoffo
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Claudio S. Gnoffo

Laureato con Master di II Livello in Didattica della Lingua Straniera e appassionato di narrativa. Counselor Letterario, Editor e Ghostwriter freelance, ha scritto 5 romanzi, 2 racconti e svariate poesie.
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/stateofmindgnoffo

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