Brandelli di una città lacera e contusa… collusa anche, allora e adesso, domani probabilmente ancora. Sempre?
Sull’erba inquinata che si ostina a odorare di trifoglio, macerie singolarmente estetiche in fotografia con murales stinti, graffiti, colate di liquami sintetici o corporei su affreschi neo-babilonesi o inca che sbiadiscono sotto i cumuli di indifferenza, di tedio, di vacuità, lassismo. Sfracelli di secoli, tutti meno bui di questo, la schiacciano. E il peso del tempo la atterrisce.
Il cielo d’estate vi incombe ora con un sole inumano, d’altri mondi. La città colpita a morte respira piano. Ansante di sudore, desolata, scopre le sue piaghe aperte, ma il sole le infetta. Poi, di notte, un po’ di frescura attenua il dolore, ombre azzurre rivestono squallore e macerie del fascino del tempo e di mistero.
Ma il profumo dei gelsomini non lo si sente più! Non lo si sente, e questo, più d’ogni altra cosa,colpisce al cuore e ferisce . Non più, mai più! Il profumo dei gelsomini dai giardini tutt’attorno alla città perduta …
Era stato qualcosa di indicibile, percezione in cui tutti i sensi, quasi drogati, defluivano fondendosi, veicolo mentale verso il sogno; ma come raccontarlo oggi a chi allora non era nato? E perché poi? Per farlo soffrire?
E questa città giace a braccia aperte, quasi in croce, in una conca che fu orgogliosamente d’oro. Aranci e limoni sono per lo più altrove. Squallore e degrado implodono quietamente nelle periferie che come una regina accattona, la incoronano: grigie, cementizie, sporche e caotiche, mai progettate, incompiute.
Ha davanti, come sempre da secoli, il respiro calmo del mare.
di Marina Sardo