Amici di LaLaPa, sono qui con Alessio Arena: poeta, saggista e studioso. Un autentico talento della scrittura, uno dei figli di cui Palermo può fregiarsi.
Ciao Alessio! È un piacere averti virtualmente qui, con LaLaPa e con tutta la comunità di persone che ci seguono.
Ciao Claudio, è un grande piacere dialogare con te, ringrazio tutta la Redazione de LaLaPa e saluto tutti coloro che ci leggono.
Allora, Alessio. È appena uscita la tua ultima fatica letteraria, “La vena verde”, che è, come vedremo, davvero l’ultima di una lunga serie di pubblicazioni importanti. Ti va intanto di parlarci di questa?
Si tratta di un monologo pensato per il teatro, ma auspico adattamenti in ogni forma artistica. “La vena verde” racconta un storia inventata dal sottoscritto, ma in realtà è più vera del reale. Il libro è liberamente ispirato alle suggestioni che mi sono state trasmesse dalle lettere di Maria Antonietta Portolano Pirandello, la moglie dello scrittore Premio Nobel per la letteratura Luigi Pirandello. In realtà la mia protagonista, che è una donna chiusa in un manicomio dell’Italia fascista, di cui c’è solo la voce del monologo, non è Maria Antonietta, ma un personaggio di mia invenzione, che esprime le tensioni, le passioni anche contraddittorie e le crisi, che tantissime donne ma anche uomini, nelle sue condizioni, hanno dovuto subire nel corso del Novecento, in Italia e non solo.
Chi già ti legge lo vedrà da sé, per chi invece si appresta a conoscerti adesso: che tappa segna, “La vena verde”, nel tuo percorso letterario e umano?
Beh, dico sempre che ogni mio libro è una svolta, ed è vero, però in questo caso si tratta di un passaggio particolarmente significativo, di un cambiamento palesemente importante: questa è un’opera di prosa. Anche se è un monologo pensato per il teatro, può pure essere letto come un romanzo breve o un racconto. Di fatto, per me che ho sempre pubblicato poesia, saggistica, articoli scientifici e testi divulgativi, è un esordio nella narrativa, oltre che in teatro. Quindi la svolta è data dal genere, innanzitutto.
Non vuol dire che abbandoni la poesia, giusto?
No, affatto! Anzi a breve uscirà il mio nuovo libro di poesie. Semplicemente, sto cercando di ampliare i miei orizzonti, divertendomi e sperimentando, imparando e applicando le esperienze maturate.
Ben dieci anni di attività letteraria.
Sì. E dopo dieci anni è una svolta anche sul fronte tematico, sul fronte del linguaggio e dell’uso della lingua, sul fronte delle immagini, del ritmo di narrazione: anche attraverso la poesia si può fare narrazione. E questo libro segna proprio un cambio d’approccio, di stile e sarà evidente a chiunque conosca il resto della mia produzione.
Dieci anni, per la tua giovane età, sono una strada notevole alle spalle, anche faticosa. Ad esempio, sei Cultore all’Accademia di Belle Arti, sia in quella di Palermo che in quella di Roma.
Ho sempre avuto questo sogno: muovermi tramite la parola, esprimermi attraverso di essa. Sono riuscito a farlo e continuerò finché riuscirò a imparare modi nuovi per farne un buon uso, un uso utile. Un uso saggio, se possibile, di questo strumento meraviglioso. E l’approdo al mondo accademico è stato naturale e disinvolto. È un amore arrivato semplicemente al momento opportuno, quando ho iniziato a studiare all’università. Ho compreso che quello poteva essere il contesto e la sede giusta per iniziare a dialogare con interlocutori di vario tipo. Credo che uno studioso, non necessariamente accademico, debba sposare la stessa filosofia dell’artista: cercare di dialogare e comunicare, non con la pretesa di diffondere grandi verità, come un vate o un profeta, ma per stimolare un dibattito, che naturalmente, non sempre può essere alla pari. Però si può costruire insieme una valorizzazione delle differenze e delle peculiarità identitarie, attraverso il confronto. È il principio dei vasi comunicanti, per intenderci. E questa è didattica, ed è, come dire, la meraviglia anticapitalista della cultura. Un’idea mia, se è valida e se sono capace di esporla bene, diventa tua e si moltiplica quasi per magia, perché non è un bene materiale, non è una moneta, che sta o nella mia tasca o nella tua. È il miracolo di quella che è la nostra vera ricchezza: la cultura, che non costa nulla, se non un poco di pazienza e un briciolo di generosità. Uno studioso, un docente e un artista sono accomunati da questo: il dovere di essere generosi.
So che hai ricevuta un’infinità di premi e riconoscimenti, di cui non ami parlare perché non ostenti mai. Uno, però, io lo voglio menzionare: il Premio Internazionale Salvatore Quasimodo, nel 2016, giovanissimo. Come ti sei sentito quando te l’hanno conferito?
È stato un grande onore. Sono sempre stato un affezionatissimo lettore dell’opera poetica di Salvatore Quasimodo, quindi la mia commozione è stata grande. Non avevo ancora vent’anni, ne avevo diciannove, e ho ricevuto questo premio a Roma nel giorno della festa della Repubblica, il 2 giugno (Alessio avrebbe compiuto vent’anni il 12 ottobre seguente, n.d.r.). È stato un avvenimento veramente straordinario, un momento importante della mia carriera, fermo restando che ai premi bisogna dare un valore sempre relativo. Ciò che per me ha contato di più, in quel momento, è stato il mio legame con questo autore. Con Dario Fo, Italo Calvino e altri, Salvatore Quasimodo è uno dei miei riferimenti letterari, e ricevere un premio internazionale a lui intitolato mi ha colpito in maniera incredibile, mi ha commosso davvero. In quell’occasione ho avuto anche il privilegio di confrontarmi con suo figlio Alessandro, grande esperto di poesia e grande attore.
Lui, poi, ha scritto per uno dei tuoi libri, se non ricordo male.
Esatto, Alessandro Quasimodo ha scritto la postfazione a “Lettere dal terzo millennio” (raccolta di poesie per Mohicani Edizioni, dicembre 2016, n.d.r.).
Tempo fa mi faceva riflettere la sfida lanciata da Roberto Lipari: far sì che Alberto Angela avesse più follower, su instagram, della Signora Angela da Mondello. E mi sono chiesto se davvero oggi rischiamo che la cultura finisca in un angolo, se dobbiamo spenderci per dei follower o dei like in più che possano portare l’attenzione su temi importanti.
Ho il privilegio di conoscere Roberto, che è una persona molto intelligente e ha individuato perfettamente un problema che è sotto gli occhi di tutti: è difficile, nell’oceano di informazioni e dati che si trovano sul Web, sui social in particolare, fare una selezione. Oggi più che mai abbiamo accesso a una mole infinita di informazioni, sia testi che video. Operare una selezione è difficile soprattutto per chi non ha gli strumenti, culturalmente parlando, per operarla. E non è una colpa non averli: la colpa è di chi non educa in questa direzione, di chi, sul fronte istituzionale, non contribuisce a questa formazione. Come dico sempre, occorre educare all’uso di questi strumenti, per usarli con responsabilità. Bisogna educare però anche a discernere, con spirito critico, fra tutto ciò che troviamo nel Web. Comunque, quella di Roberto è una bonaria provocazione, per cercare di riportare l’attenzione su ciò che veramente merita di essere sottolineato e celebrato. Mi preme ribadire che nessuno qui ha una colpa, se non chi non fornisce gli strumenti per valorizzare quelli che dovrebbero essere i veri modelli e i veri valori, per la nostra società.
Mi fa pensare che viviamo una contraddizione. Da un lato, coi social, questo è il tempo storico in cui si legge di più in termini assoluti, per la mole infinita di testi e post che circolano. Dall’altro lato però è crisi per l’editoria, perché, nonostante il nostro bisogno vorace di storie, non le cerchiamo nei libri, non riusciamo a soffermarci sulla pagine di un libro per cercarle e gustarle. E il nostro bisogno di raccontarci ci spinge molto a scrivere e poco a leggere.
Innanzitutto, c’è un dato di fatto: oggi, se cerchiamo un’informazione, di qualunque tipo, non consultiamo più libri o riviste ma consultiamo internet, che, nonostante sia uno strumento di straordinario valore e straordinarie potenzialità, e nonostante abbia un bacino immenso di informazioni di varia natura e vario interesse, ancora non racchiude tutte le informazioni che si trovano invece nei libri. Probabilmente, in futuro arriveremo a convertire tutto in digitale e allora internet sarà veramente soltanto un medium per accedere, in maniera differente, ai contenuti cui abbiamo sempre avuto accesso in altri modi. Ancora non è così, ma nonostante ciò, paradossalmente, il Web diviene la maggior fonte di informazioni, ma anche di svago, che prevarica, come dici tu, sane attività ricreative come la lettura di un buon romanzo o un bel fumetto.
Tornando a te, qual è il tuo prossimo progetto, o sogno nel cassetto, per la tua vita? Come immagini, o come sogni l’Alessio Arena di là da venire?
Ti rispondo con una battuta, citando Forrest Gump, quando lui, alla domanda “hai mai sognato cosa diventerai da grande?”, risponde con un’altra domanda: “vuoi dire, che non sarò più io?”. Quanta saggezza in questa risposta data con ingenuità! Ti rispondo allo stesso modo, per dirti che io continuerò a fare quello che ho sempre fatto, cioè ricerca, ricerca attraverso la parola, nel tentativo di fare arte. E dal mio punto di vista, è tutto ciò che posso regalare al mondo, per quel che vale.
Come faccio con tutti gli amici di LaLaPa, ti chiedo di lasciarci con una suggestione: se dovessi definire Palermo con un verso, un’immagine, in una pennellata rapida e netta.
Palermo è un’isola nell’isola.
Grazie mille, Alessio!
Grazie a voi Claudio, a te, alla Redazione e a tutti gli amici di LaLaPa.